giovedì 31 maggio 2012

Berardinelli: poeti che hanno poco da dire


Qualche riflessione sull'articolo di Alfonso Berardinelli, pubblicato sulla Domenica del Sole 24 ore del 27 maggio 2012.
A partire dagli anni Settanta, afferma tra l'altro Berardinelli, i poeti non hanno avvertito più il bisogno di un'attenta riflessione critica che agisse insieme alla produzione in versi, intrecciandosi cioè con il loro percorso creativo. Ciò ha contribuito a far sì che la poesia si liberasse dalle regole e dalla necessità di “avere qualcosa da dire”, dando luogo a una pratica che è sembrata ancora di più aperta al contributo di tutti. Berardinelli sottolinea anche come, a partire dagli anni Ottanta, nei discorsi sulla poesia sia subentrata una sorta di “fissazione ontologica e mistica”, facendo di “un caso limite, come quello di Paul Celan, poeta straordinariamente oscuro, un nuovo modello canonico a protezione della routine poetica”. Il risultato è che la poesia “annega in categorie che sembrano universali e profonde, ma sono solo generiche”.
Alfonso Berardinelli
La mancanza di coscienza critica, di solidi presupposti teorici, l'assenza insomma di “qualcosa da dire”, ma anche l'impossibilità (o anche la mancanza di volontà?) da parte dei critici di operare scelte precise, indicando “se un testo poetico è eccellente, buono, mediocre, banale o nullo”, hanno determinato delle condizioni di vaghezza e presunta inattacabilità, per cui la Poesia (a questo punto inevitabilmente e pericolosamente con la maiuscola) “può generare uno stato d'autoipnosi favorevole a un'inconsulta produttività verbale”.
In effetti Berardinelli colpisce nel segno. L'immensa produzione poetica degli ultimi decenni presenta spesso un buon livello tecnico, ma solo se consideriamo accettabile che essa si manifesti su un territorio nel quale appare possibile agire e muoversi seguendo modelli e percorsi individuali, all'apparenza frutto di un'estrema libertà d'azione, in effetti rischiosamente ripetitivi, dei quali sfugge il pensiero, e dunque l'urgenza, che li ha generati. Spesso dietro un dettato indefinito ed elusivo, si nasconde un'intenzione inintelligibile e un'idea fumosa. Quante volte siamo giunti al termine della lettura di una raccolta poetica, che all'inizio ci aveva attratti proprio in virtù di una certa abile e accattivante indeterminatezza della lingua, senza infine capire cosa l'autore abbia voluto comunicarci? Ci è sembrato cioè, cito ancora Berardinelli, che le parole fossero arrivate sulla pagina “da chissà dove, magnetizzate come corpuscoli dal loro reciproco attrito”.
Se vuole ricominciare ad essere un linguaggio indirizzato a tutti e dunque ascoltato non solo dagli altri poeti, ma anche dai lettori, la poesia ha estremamente bisogno di critici che sappiano e vogliano distinguere e indicare percorsi, ma anche di poeti che intendano nuovamente mettersi in gioco, attraverso l'interazione dei versi con seri e ragionati presupposti teorici. Poeti che insomma abbiano “qualcosa da dire”.

13 commenti:

  1. però mi chiedo come mai il buon Alfonso (che fu mio professore di letteratura contemporanea prima che lasciasse la cattedra - lasciandomi pure senza il relatore desiderato quando mi iscrissi a lettere... ma è altra storia) non si interroghi sul ruolo di quei critici-professori-poeti che hanno perpetuato la logica della "schola poetarum" per meriti che nella breve distanza si sono rivelati demeriti.
    perché Berardinelli, da responsabile pure di collane di poesia, non si interroga sull'operato di certi direttori che hanno promosso solo certe cose tacendo del tutto su autori interessanti.
    mi pare che ultimamente lui stia ritornando, nel tentativo di riattualizzare la questione, su terreni già battuti decenni fa: insomma siamo fermi al "pubblico della poesia".
    (commento, ammetto, il mio un po' piccato)

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  2. ci sono poeti che hanno molto da dire e ci sono tanti critici che non leggono, ovvero leggono gli amici della propria casta con cui si scambiano le figurine. tanta poesia italiana, come la nostra classe politica, deve andarsene a casa.

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  3. annamaria ferramosca2 giugno 2012 alle ore 17:47

    Sono molto d'accordo con Michieli sul fatto che non si stigmatizzi mai abbastanza il disinteresse di molte collane editoriali per il "fuori dall'orto". Certamente è una gran fatica oggi selezionare poesia valida nella sterminata folla di scriventi,cercando con ostinazione i poeti veri, quelli mossi dall'urgenza e nelle cui parole -universali- i più possano riconoscere le assenze, le speranze e i fuochi della contemporaneità. Di sicuro più facile ritrarsi e ripetere il refrain della fumosità generalizzata.Così anche Saya ha ragione nell'affermare che i poeti che hanno da dire ci sono, basta pazientemente cercarli(la capacità poetica è un fatto antropologico, attraversa da sempre tutte le culture, non può scomparire). E sappiamo come molti poeti volontariamente prendono le distanze da ogni gioco editoriale e autoreferenziale. Già, ma se non si comunica, come fa la(eventuale)poesia ad arrivare ai lettori? Se non esistono(non ci sipuù credere) e non vengono in mente a chi dovrebbe occuparsene, meccanismi di selezione limpidi? Oppure qualcosa si potrebbe tentare, visto che viviamo in epoca tecnologica della supercomunicazione: forse se ciò che si scrive -basterebbero forse 10 testi per autore da proporre in rete e IN ANONIMO - fosse votato a mo' di sondaggio su grandissimi numeri,mobilitando tutti i siti di poesia, scuole, università, biblioteche, case editrici etc. forse potremmo fare a meno di critici disincantati e rinunciatari, rivolgendoci direttamente ai lettori, naturali destinatari della scrittura.
    Annamaria Ferramosca

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  4. Annamaria Ferramosca2 giugno 2012 alle ore 18:34

    Dimenticavo di ringraziare Giuseppe Grattacaso per aver iniziato il dibattito sul tema in questo blog, che mi sono permessa di linkare su facebook, invitando a continuare qui lo scambio, un caro saluto,
    Annamaria Ferramosca

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  5. Credo che i critici facciano il loro mestiere, un mestiere come un altro che ha però l'aggravante di volere a tutti i costi mettere la Poesia dentro recinti su cui vedere appesi cartelli con l'appartenenza ad una corrente o un'altra. La Poesia è un'altra cosa, è libertà, arte, immaginazione, scheda precisa dei tempi, nuova energia al di fuori dei giochi di incasellamento forzato, è, alla fine, selezione naturale. Proporre testi in anonimato a che servirebbe ai fini della fruizione della Poesia? E poi perchè mai si dovrebbe rinunciare a dire chi ha scritto cosa quando scrivere è un atto spontaneo, legittimo, fatica, anche qualcosa di cui andare fieri e per cui si mette la propria faccia e non un punto interrogativo. Scrivere è un dono, un'esigenza, un moto interiore inarrestabile, e chi scrive lo sa; e il lettore lo percepisce, non è così sciocco da non intendere che quello che legge è frutto di una spremuta d'anima e non di un deliberato autoreferenzialismo. Libertà di scelta per il lettore e per il poeta di accedere alla Poesia come meglio crede, la selezione si fa da sè, con il tempo,la diffusione con i mezzi di cui disponiamo, la continuità, l'esperienza. E aggiungo e ribadisco: con o senza critici che, come sostiene giustamente Marco Saya, "leggono gli amici della propria casta con cui si scambiano le figurine". Un saluto

    Federica Galetto

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  6. annamaria ferramosca3 giugno 2012 alle ore 14:15

    L'anonimato sarebbe solo una prima fase per testare fuori da ogni influenza una scrittura. credo che ogni autore desideri conoscere quanto la propria parola sia autenticamente sentita. inoltre essere letti in anonimo aiuterebbe non poco gli esordienti, impedirebbe l'enfasi autoreferenziale, le false gratifiche amicali, quelle del dout des, la enorme dispersione nel mare degli scriventi poesia,etc. Solo dopo una larghissima selezione fatta dai lettori,sì, senza necessità di intermediazione critica spesso fuorviante, selezione che darebbe un qualche minimo carattere di "riconoscimento universale"ad una scrittura, l'anonimato non avrebbe più ragione di sussistere.
    L'accesso alla poesia oggi è infatti divenuto molto difficile -prova ne è lo scarsissimo livello generale delle vendite- per lasciarlo alla dispersione dilagante.

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  7. annamaria ferramosca3 giugno 2012 alle ore 14:53

    Per chi volesse, il dibattito si è esteso anche in facebook (dove avevo dato il link a questo blog), alla mia pagina.
    a.f.

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  8. ripeto anche qui quello che ho scritto su FB:
    non ho letto l'articolo sul Sole, ma se il nocciolo del discorso è quello che sintetizza Grattacaso (i poeti non hanno avvertito più il bisogno di un'attenta riflessione critica che agisse insieme alla produzione in versi, intrecciandosi cioè con il loro percorso creativo) direi che sono sostanzialmente d'accordo. Mi sembra (ed è per questo che sono d'accordo) che la questione sia incentrata sul lavoro dei poeti, più che su quello dei critici, che non necessariamente debbono anche saper fare versi. Mentre a me sembra importante che il poeta faccia una riflessione, che possiamo anche non chiamare critica, precedente e successiva sul proprio lavoro. Tutto ciò a prescindere dall'ormai consueto e stucchevole "alzo zero" di Berardinelli contro la poesia.

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  9. Annamaria Ferramosca3 giugno 2012 alle ore 23:44

    Il dibattito ferve su facebook, ma purtroppo, pur provando, non mi è possibie fare il copia-incolla qui, se non per poche righe. vi copio il mio ultimo intervento-invito:

    Annamaria Ferramosca: Ringrazio tutti gli intervenuti finora per il loro apporto che arricchisce molto questo scambio. Ritornerei al che fare concretamente per favorire selezione e fruibilità della poesia, visto che sostanzialmente si è d'accordo sulla sua vitalità, a prescindere dall'assenza o no della critica, e ben sapendo che è impossibile stabilire nè criteri nè marcatori poetici. Eppure sappiamo che la parola che ha saputo dire resta nel tempo. Mi piacerebbe che il dibattito fosse seguito e portato -chi può lo faccia- nei siti di letteratura e dovunque vi sia sensibilità e possano nascere proposte in positivo. Non deleghiamo, non lasciamo che tutto continui ad andare come va, ma cerchiamo, insieme, di creare humus nel terreno della poesia, sia che la scriviamo sia che vogliamo si diffonda(quella valida), dunque insieme-siamo tantissimi- cerchiamo di costruire una macchina il più possibile limpida che veicoli facilmente la parola che parla, se non a tutti, a molti. Sapendo che quel che resterà più che il nome, sarà la traccia, in parole, di un cammino comune, riconosciuto (a proposito del significato di autoreferenzialità).

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  10. Ringrazio tutti per gli interessanti contributi al dibattito, in particolare Annamaria Ferramosca, per le sue riflessioni e perché ha voluto rilanciare la discussione anche su Fb. Come ha detto chiaramente Giacomo Cerrai, innanzitutto la questione posta riguarda i poeti: tutta la poesia moderna ha sentito il bisogno di riflettere su se stessa e di fornire possibili chiavi di lettura dell'opera, ma soprattutto del suo modo di pensare e vivere la poesia. Scrive Deidier nel suo ultimo libro di critica, "Il lampo e la notte": "L'immagine del poeta diventa speculare a se stessa, si sdoppia in uno stimolante cortocircuito tra poiesi ed ermeneutica". Si crea in questo modo un rapporto profondo tra la poesia e il progetto, tra quello che potremmo chiamare ispirazione e la consapevolezza tecnica.
    Mi sembra che oggi questo rapporto sia andato sbiadendosi, con conseguenze abbastanza evidenti, che riguardano, tra l'altro, la relazione tra poeti e pubblico e il confronto con la critica.
    Credo che la discussione su questi temi, che spero di riuscire ad animare ancora su questo blog, faccia comunque bene alla poesia.

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  11. Un articolo di Berardinelli che deve far riflettere chi scrive poesia. Non sono del tutto d'accordo con Berardinelli che a me pare penalizzare eccessivamente tecnica e linguaggio del fare poetico, privilegiando, nello specifico, l'aspetto contenutistico della poesia. E ci risiamo...Benedetto Croce in posizione antitetica con Francesco De Sanctis, con un Gramsci e così via??? Quanto alla poesia oscura , definita inopportunamente da Berardinelli fumosa, continuerò a difenderla a spada tratta,contro tanti critici, sia pure accademici, che l'avversano solo o probabilmente perchè non hanno né tempo, né voglia, di analizzarla e penetrarla. Inoltre, non credo affatto Celan un caso limite, ma un grande innovatore del dire poetico. nunzia binetti

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  12. io trovo Alfonso Berardinelli fossilizzato su posizioni vecchie di vent'anni. tutto qua

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  13. annamaria ferramosca8 giugno 2012 alle ore 00:05

    Sono sulla tua lunghezza d'onda, Nunzia. e poi nessuno sminuisca Celan, il sublime.
    Annamaria Ferramosca

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